michelelembo
Friday, February 17, 2012
Facce, volti, ricordi
Già altre volte su questo blog, anni fa, mi ero lamentato della retorica sul ricordo mio, ma è curioso ed interessante a volte, o spesso, abbandonarsi ad essa. E ho scoperto girovagando sul web, come faccio spesso, che Federico Umberto D'Amato abitava in via Cimarosa, a Roma. Una figura che per motivi che non so ha sempre richiamato la mia attenzione. Allora adesso creo questo pseudoricordo, che poi è forse una verità più profonda, meditata, di quella che si porta nella valigia. Nel 1971 (e fino al 1976) io abitavo in via Boccherini, una traversa di via Cimarosa. E lo rivedo D'Amato che si ferma per la strada, proprio in via Cimarosa, che io spesso percorrevo con mio padre. E ci incontra e si intrattiene con noi. Scherza con me bambino. E' estate, forse quella del 1973. E, sì, chiacchiera amabilmente con noi, come un borghese qualunque, come siamo io e mio padre, e ci si riconosce, anche nell'accento napoletano. E tutto è sereno e tranquillo. E sullo sfondo io canticchio nella mia testa questa musica che è poi la prima musica che ricordo.
Monday, November 09, 2009
9 novembre 1989
Io ero a Napoli. Erano giorni per me belli. avevo avuto il primo lavoro della mia vita. E già avevo maturato la convinzione che mi sarei licenziato. Però Napoli era bellissima nei colori forti e scuri del suo autunno. Abitavo a Santa Lucia e andavo a piedi per Via Duomo fino alla sede dove dovevo prendere servizio. Leggevo i giornali. Tutti dicevano: è caduto il muro. Ma finalmente, e ancora non lo si dice, lo lasciavano cadere. Furono entrambi. Fu un bel momento. Pensai che le cose sarebbero state diverse e in parte lo sono state. Mai ho capito l'anticomunismo viscerale che alcuni hanno smerciato in questi anni, qui in Italia in particolare. Mesi prima, sulla banchina del porto di Talamone (come era allora, molto diverso da oggi) piansi pensando a Pechino. Ma fu una cosa di un attimo. Il mondo è migliore. Malgrado tutto.
Tuesday, April 28, 2009
Chissà
se riuscirò mai a liberarmi di questa strana retorica che ritrovo qui sopra, dopo qualche anno, dopo tante cose che non dico, dopo alcuni momenti in cui uno pensa a guardare indietro per meglio tentare di allungare l'occhio in avanti. ho scoperto di essere iscritto ad un forum da 8 otto anni. la cosa mi ha colpito lì per lì. poi rivedo pure qui la retorica del tempo mio, che non vale nulla. ma il tempo che guardo fuori, il trascorrere mi continua a prendere, continua a venirmi la voglia di cercare di capire, trovare un bandolo, un filo, da svolgere verso avanti. alla fine le cose migliori che ho messo qua sopra sono le massime.
Thursday, July 19, 2007
Monday, September 25, 2006
Cina. Io la vedo così
In molti si aspettavano qualcosa in più, qualcosa di diverso dal viaggio in Cina del governo italiano, e in particolare si aspettava qualcosa di più da Emma Bonino sulla questione dei diritti umani.
Avendo avuto l’opportunità di seguire questo viaggio del governo italiano, mi pare utile versare alla discussione, che si svolge non solo tra noi, quanto ho visto e sentito con i miei occhi e le mie orecchie, al fine di rendere il dibattito più utile e approfondito.
Andiamo ai fatti.
Si rimprovera alla delegazione di non aver parlato di diritti umani. Se ne è invece parlato. E in più occasioni. Nella conferenza stampa di presentazione del viaggio, Prodi affermò che la questione sarebbe stata posta alle autorità cinesi. Nella cerimonia di presentazione della fiera di Canton, Emma Bonino ha fatto un chiaro riferimento a conclusione del suo discorso alla necessità di salvaguardare diritti e libertà dei cinesi. Due giorni dopo, nella fumosa, fastosa e blindata cerimonia di conclusione a Piazza Tien an men, Emma Bonino ha ripetuto il suo appello in favore dei diritti e le libertà dei cinesi.
Per capire di cosa stiamo parlando è bene descrivere la circostanza specifica di quest’ultima manifestazione pubblica. Si è trattato di una manifestazione pubblica solo per l’opinione pubblica internazionale, ma è stata una manifestazione completamente negata ai cinesi. E non solo a loro. Io, che ero in Cina con un accredito come accompagnatore della delegazione del governo italiano, non ho potuto parteciparvi. Sono riusciti ad entrare solo i giornalisti accreditati già da settimane prima della partenza della missione, e loro stessi hanno subito molti controlli e incontrato molte difficoltà per accedere alla cerimonia.
In questo quadro è evidente che anche una manifestazione plateale, forte, impegnativa del ministro o di chi per lei, sarebbe stata negata all’opinione pubblica cinese.
L’impegno a favore dei diritti dei cinesi, credo io, deve raggiungere in primo luogo i cinesi stessi. E’ certo importante comunicare al resto del mondo che noi radicali, ancorché ministri o semplici militanti, siamo impegnati nella lotta per aprire ai cinesi lo spazio delle loro libertà. Tuttavia occorre immaginare qualcosa ad uso dei cinesi stessi, e non solo destinato al nostro uso interno, se non introvertito.
Avevamo bisogno di ribadire la nostra posizione in tema di diritti umani in Cina? Non credo. Almeno, non credo che Emma Bonino avrebbe avuto il bisogno di farlo lì. La posizione di Emma Bonino in Italia e fuori è nota. Le sue innumerevoli battaglie su questi temi parlano da sole.
In ogni caso per me è errato anche il giudizio che si è dato sul valore, sull’effetto che le dichiarazioni, che pure ci sono state, hanno avuto. La sera di domenica 17 settembre, a visita praticamente conclusa, Wen Jiabao, il capo del governo, si è presentato in tv, sulla rete nazionale CCTV che trasmette in inglese. Inscenando con uno sgherro del regime comunista nelle vesti di giornalista una intervista stile BBC, ma con domande e risposte evidentemente preparate a tavolino, e facendosi chiamare premier, ha risposto per più di mezz’ora, nell’ora di punta di ascolti, sul tema dei diritti umani. Se lo ha fatto si vede che le dichiarazioni di Emma Bonino e del governo italiano non sono cadute del tutto nel vuoto. Le risposte del cosiddetto premier ovviamente sono state orribili: la Cina, dice Wen Jiabao, rispetta i diritti umani più degli occidentali, e anzi è impegnata sul fronte dell’inquinamento da ammonio più degli altri. Il suo tentativo è stato dunque evidentemente quello di deviare l’attenzione dalla questione dei diritti su altri astrusi temi. Per inciso, in Cina l’inquinamento è a livelli drammatici: Pechino è avvolta in una coltre opaca, il cielo è sempre di un colore sbiadito e dagli aerei si vedono centiaia di ciminiere che scaricano fumi di tutti i colori nell’atmosfera, e tutti tossiscono e sputacchiano giorno e notte.
Le dichiarazioni sono dunque arrivate a qualcuno. Il cosidetto premier ha parlato in inglese e non in cinese. E in Cina un tassista non spiccica una sola parola di inglese, neanche se lo costringi con la forza.
Chi poteva sentire, chi poteva sapere della conferenza stampa conclusiva del viaggio italiano, ha sentito, ed ha ricevuto anche la risposta allarmata e spiazzante del regime.
Le posizioni sono salve. Per il dopo resta da capire cosa fare per i cinesi, quelli che non parlano inglese, che sono la stragande maggioranza, quelli che non hanno neanche saputo che quel pomeriggio di settembre in quella strana e immensa piazza di Pechino, c’erano degli italiani ad incontrare il governo cinese.
Le città cinesi sono cantieri a cielo aperto. Spuntano palazzi e strade immense da tutte le parti. Ho lasciato un palazzo a dieci piani la sera, e la mattina dopo ho intravisto le strutture già ben formate dell’undicesimo. In questo mondo in repentina, feroce trasformazione si muovono persone, individui, giovani e vecchi che nulla hanno più a che fare con la follia ideologica di Mao e dei suoi eredi. Vivono come noi, vanno in giro, si parlano con il cellulare, usano internet, si vestono in modo coloratissimo e stravagante. Le ragazze sembrano correre in avanti più degli altri. Ho conosciuto “I”, una ragazza di 22 anni che era la nostra guida a Pechino. David Carretta e Stefano Marrella, che erano con me, hanno capito subito che lei, così come molti altri cinesi che abbiamo incontrato, era pronta a spillarci soldi a nostra insaputa, portandoci in giro in negozi e mercatini di suoi amici e non in quelli più famosi e forniti della capitale. Io, imbambolato dai suoi modi, sono caduto nella trappola. Però I mi detto due o tre cose che mi hanno colpito: mi chiamo I, dice, che in cinese vuol dire “uno”, il numero. Sono figlia unica come tutti i cinesi. Con queste pochissime parole mi ha raccontato tutta una storia. Mi ha testimoniato con la sua vita la drammaticità della legge sui figli unici, che pure ha salvato la Cina dalla bomba demografica che fino a qualche anno fa la minacciava gravissimamente. Una legge che si è connessa con la tragica tradizione cinese di uccidere le figlie femmine, vissute da sempre nelle famiglie cinesi come una disgrazia. Le donne oggi in Cina scarseggiano. Lei è sopravvissuta. Solo per questo fa parte di qualcosa di nuovo. Le ho chiesto di piazza Tien an men a bruciapelo, senza aggiungere altro. Mi ha solo detto: quella piazza ha una storia. E non ha detto altro. Ho capito, o forse ho creduto di capire, che non voleva dire altro, che era meglio non dire altro. Ma la storia è viva, si conosce, sopravvive tra i cinesi come lei.
Ho pensato a cosa possiamo fare per I, per le persone come lei, per dare loro il nostro bagaglio storico, positivo di valori liberali, di conoscenza, valori di profonda umanità, senza mettere lei e gli altri come lei a rischio di una nuova Tien an men. E la risposta non l’ho trovata. La risposta non mi sembra solo quella di ribadire la nostra posizione sui diritti umani. La risposta è fare qualcosa di concreto perché le persone come lei possano conquistare il diritto di parlare di politica, di opporsi al regime, di scrivere su un blog criticando il regime, di votare per un partito d’opposizione.
Qualcuno tra gli esperti di certe cose sostiene che lo sviluppo economico prima o poi porta le persone a cercare anche lo sviluppo politico e sociale. Intanto perdiamo tempo. E passano i giorni, e i dissidenti vegnono arrestati in silenzio, e le esecuzioni capitali in Cina si moltiplicano, e I mi promette di darmi il suo indirizzo mail, ma poi non me lo da, sorridendo un po’ amaramente.
Ricordo che in una delle prime riunioni radicali a cui ho partecipato, ho sentito Marco che parlava di conigli dal cilindro che noi radicali siamo capaci di tirar fuori al momento opportuno. Ce ne vorrebbe proprio uno ora, ma io cerco nel cilindro e non trovo nemmeno le orecchie del coniglio, e quindi niente coniglio.
Avendo avuto l’opportunità di seguire questo viaggio del governo italiano, mi pare utile versare alla discussione, che si svolge non solo tra noi, quanto ho visto e sentito con i miei occhi e le mie orecchie, al fine di rendere il dibattito più utile e approfondito.
Andiamo ai fatti.
Si rimprovera alla delegazione di non aver parlato di diritti umani. Se ne è invece parlato. E in più occasioni. Nella conferenza stampa di presentazione del viaggio, Prodi affermò che la questione sarebbe stata posta alle autorità cinesi. Nella cerimonia di presentazione della fiera di Canton, Emma Bonino ha fatto un chiaro riferimento a conclusione del suo discorso alla necessità di salvaguardare diritti e libertà dei cinesi. Due giorni dopo, nella fumosa, fastosa e blindata cerimonia di conclusione a Piazza Tien an men, Emma Bonino ha ripetuto il suo appello in favore dei diritti e le libertà dei cinesi.
Per capire di cosa stiamo parlando è bene descrivere la circostanza specifica di quest’ultima manifestazione pubblica. Si è trattato di una manifestazione pubblica solo per l’opinione pubblica internazionale, ma è stata una manifestazione completamente negata ai cinesi. E non solo a loro. Io, che ero in Cina con un accredito come accompagnatore della delegazione del governo italiano, non ho potuto parteciparvi. Sono riusciti ad entrare solo i giornalisti accreditati già da settimane prima della partenza della missione, e loro stessi hanno subito molti controlli e incontrato molte difficoltà per accedere alla cerimonia.
In questo quadro è evidente che anche una manifestazione plateale, forte, impegnativa del ministro o di chi per lei, sarebbe stata negata all’opinione pubblica cinese.
L’impegno a favore dei diritti dei cinesi, credo io, deve raggiungere in primo luogo i cinesi stessi. E’ certo importante comunicare al resto del mondo che noi radicali, ancorché ministri o semplici militanti, siamo impegnati nella lotta per aprire ai cinesi lo spazio delle loro libertà. Tuttavia occorre immaginare qualcosa ad uso dei cinesi stessi, e non solo destinato al nostro uso interno, se non introvertito.
Avevamo bisogno di ribadire la nostra posizione in tema di diritti umani in Cina? Non credo. Almeno, non credo che Emma Bonino avrebbe avuto il bisogno di farlo lì. La posizione di Emma Bonino in Italia e fuori è nota. Le sue innumerevoli battaglie su questi temi parlano da sole.
In ogni caso per me è errato anche il giudizio che si è dato sul valore, sull’effetto che le dichiarazioni, che pure ci sono state, hanno avuto. La sera di domenica 17 settembre, a visita praticamente conclusa, Wen Jiabao, il capo del governo, si è presentato in tv, sulla rete nazionale CCTV che trasmette in inglese. Inscenando con uno sgherro del regime comunista nelle vesti di giornalista una intervista stile BBC, ma con domande e risposte evidentemente preparate a tavolino, e facendosi chiamare premier, ha risposto per più di mezz’ora, nell’ora di punta di ascolti, sul tema dei diritti umani. Se lo ha fatto si vede che le dichiarazioni di Emma Bonino e del governo italiano non sono cadute del tutto nel vuoto. Le risposte del cosiddetto premier ovviamente sono state orribili: la Cina, dice Wen Jiabao, rispetta i diritti umani più degli occidentali, e anzi è impegnata sul fronte dell’inquinamento da ammonio più degli altri. Il suo tentativo è stato dunque evidentemente quello di deviare l’attenzione dalla questione dei diritti su altri astrusi temi. Per inciso, in Cina l’inquinamento è a livelli drammatici: Pechino è avvolta in una coltre opaca, il cielo è sempre di un colore sbiadito e dagli aerei si vedono centiaia di ciminiere che scaricano fumi di tutti i colori nell’atmosfera, e tutti tossiscono e sputacchiano giorno e notte.
Le dichiarazioni sono dunque arrivate a qualcuno. Il cosidetto premier ha parlato in inglese e non in cinese. E in Cina un tassista non spiccica una sola parola di inglese, neanche se lo costringi con la forza.
Chi poteva sentire, chi poteva sapere della conferenza stampa conclusiva del viaggio italiano, ha sentito, ed ha ricevuto anche la risposta allarmata e spiazzante del regime.
Le posizioni sono salve. Per il dopo resta da capire cosa fare per i cinesi, quelli che non parlano inglese, che sono la stragande maggioranza, quelli che non hanno neanche saputo che quel pomeriggio di settembre in quella strana e immensa piazza di Pechino, c’erano degli italiani ad incontrare il governo cinese.
Le città cinesi sono cantieri a cielo aperto. Spuntano palazzi e strade immense da tutte le parti. Ho lasciato un palazzo a dieci piani la sera, e la mattina dopo ho intravisto le strutture già ben formate dell’undicesimo. In questo mondo in repentina, feroce trasformazione si muovono persone, individui, giovani e vecchi che nulla hanno più a che fare con la follia ideologica di Mao e dei suoi eredi. Vivono come noi, vanno in giro, si parlano con il cellulare, usano internet, si vestono in modo coloratissimo e stravagante. Le ragazze sembrano correre in avanti più degli altri. Ho conosciuto “I”, una ragazza di 22 anni che era la nostra guida a Pechino. David Carretta e Stefano Marrella, che erano con me, hanno capito subito che lei, così come molti altri cinesi che abbiamo incontrato, era pronta a spillarci soldi a nostra insaputa, portandoci in giro in negozi e mercatini di suoi amici e non in quelli più famosi e forniti della capitale. Io, imbambolato dai suoi modi, sono caduto nella trappola. Però I mi detto due o tre cose che mi hanno colpito: mi chiamo I, dice, che in cinese vuol dire “uno”, il numero. Sono figlia unica come tutti i cinesi. Con queste pochissime parole mi ha raccontato tutta una storia. Mi ha testimoniato con la sua vita la drammaticità della legge sui figli unici, che pure ha salvato la Cina dalla bomba demografica che fino a qualche anno fa la minacciava gravissimamente. Una legge che si è connessa con la tragica tradizione cinese di uccidere le figlie femmine, vissute da sempre nelle famiglie cinesi come una disgrazia. Le donne oggi in Cina scarseggiano. Lei è sopravvissuta. Solo per questo fa parte di qualcosa di nuovo. Le ho chiesto di piazza Tien an men a bruciapelo, senza aggiungere altro. Mi ha solo detto: quella piazza ha una storia. E non ha detto altro. Ho capito, o forse ho creduto di capire, che non voleva dire altro, che era meglio non dire altro. Ma la storia è viva, si conosce, sopravvive tra i cinesi come lei.
Ho pensato a cosa possiamo fare per I, per le persone come lei, per dare loro il nostro bagaglio storico, positivo di valori liberali, di conoscenza, valori di profonda umanità, senza mettere lei e gli altri come lei a rischio di una nuova Tien an men. E la risposta non l’ho trovata. La risposta non mi sembra solo quella di ribadire la nostra posizione sui diritti umani. La risposta è fare qualcosa di concreto perché le persone come lei possano conquistare il diritto di parlare di politica, di opporsi al regime, di scrivere su un blog criticando il regime, di votare per un partito d’opposizione.
Qualcuno tra gli esperti di certe cose sostiene che lo sviluppo economico prima o poi porta le persone a cercare anche lo sviluppo politico e sociale. Intanto perdiamo tempo. E passano i giorni, e i dissidenti vegnono arrestati in silenzio, e le esecuzioni capitali in Cina si moltiplicano, e I mi promette di darmi il suo indirizzo mail, ma poi non me lo da, sorridendo un po’ amaramente.
Ricordo che in una delle prime riunioni radicali a cui ho partecipato, ho sentito Marco che parlava di conigli dal cilindro che noi radicali siamo capaci di tirar fuori al momento opportuno. Ce ne vorrebbe proprio uno ora, ma io cerco nel cilindro e non trovo nemmeno le orecchie del coniglio, e quindi niente coniglio.
Thursday, September 21, 2006
Cina: il dissenso corre online
Continuano a far paura i dissidenti online in Cina. Ne hanno arrestati altri tre. Occorrerebbe creare una piattaforma web per cercare di attirare il più possibile queste voci, promuoverle, a garantirle in qualche modo dal regime del pcc. Si potrebbe pensare a una specie di nucleo dissidente online da promuovere, cercando di scavalcare la censura cinese, non credo che sia impossibile.
Ecco le storie degli arrestati.
Zhang Jianhong, scrittore e poeta di 48 anni, è stato fermato ed imprigionato il 6 settembre a Ningbo per "incitazione alla sovversione del potere dello Stato". Una ventina di poliziotti, muniti di un mandato di perquisizione, hanno fatto irruzione nel suo domicilio e hanno sequestrato i dischi duri dei suoi due computer e un'agenda elettronica. Hanno inoltre interrogato la moglie, Dong Min, per avere informazioni sulle persone frequentate dal marito e sugli articoli che Zhang Jianhong pubblicava su alcuni siti Internet registrati all'estero. Zhang Jianhong, membro dell'organizzazione degli scrittori indipendenti PEN, scriveva con lo pseudonimo di Li Hong. Ha già passato un anno e mezzo in un campo di «rieducazione attraverso il lavoro» per «propaganda contro-rivoluzionaria ». Zhang Jianhong si era dimostrato solidale con il movimento pro-democratico del 1989. Ha fondato, nell'agosto 2005, il sito letterario Aiqinhai.org (http://www.aiqinhai.org/) e ne è stato il caporedattore fino alla sua chiusura disposta dalle autorità nel marzo 2006. Il difensore dei diritti civili Yang Maodong, più conosciuto con il nome di Guo Feixiong, è stato arrestato il 14 settembre 2006, nella sua casa a Canton. I poliziotti, muniti di un mandato, vi hanno effettuato una perquisizione e hanno sequestrato tre computer e degli appunti personali. Accusato di "commercio illegale", avrebbe fatto stampare, pubblicare e venduto 20 000 libri creando una falsa casa editrice. Sua moglie, Zhang Qing, ripete che suo marito è innocente e che le accuse sono totalmente infondate. Yang Maodong è attualmente detenuto per ordine dell'Ufficio della sicurezza pubblica di Canton. Sua moglie ha cercato, lo scorso 18 settembre, di andare a trovarlo ma non è stata autorizzata ad incontrarlo. Yang Maodong, scrittore di 40 anni, è conosciuto per aver difeso gli abitanti del villaggio di Taishi (Guangdong) che avevano manifestato, nel settembre 2005, per protestare contro la corruzione del governo locale. Il cyberdissidente aveva offerto loro assistenza e consigli giuridici per aiutarli nella preparazione della loro denuncia contro il capo del villaggio. Aveva inoltre descritto e analizzato l'accaduto pubblicando numerosi articoli su svariati siti Internet (es. sul Forum Yannan, chiuso il 1° ottobre 2005.) Maodong è stato arrestato una prima volta, il 6 ottobre 2005, per "aver turbato l'ordine pubblico". E' stato liberato, senza essere stato processato, tre mesi e mezzo dopo. Continuamente assillato dalla polizia, è stato aggredito e picchiato a tre riprese da quando è stato rilasciato, l'ultima volta nell'agosto 2006. Chen Shuqing, membro del Partito democratico cinese (proibito), è stato convocato dalla polizia di Hangzhou (Zhejiang). Si è presentato, il 14 settembre, a un commissariato locale ed è stato immediatamente trasferito in carcere. E' accusato di "incitazione alla sovversione del potere dello Stato". I poliziotti hanno perquisito la sua abitazione per sequestrare i dischi duri dei suoi computer e alcuni documenti personali. Laureato in biologia, Chen Shuqing è già stato imprigionato per quattro mesi nel 1999 per aver partecipato alla creazione del Partito democratico cinese. Dopo la sua liberazione, il cyberdissidente ha ripreso gli studi universitari per diventare avvocato. Nel 2005, Chen Shuqing ha sostenuto e superato gli esami di avvocatura, ma l'ufficio della Giustizia della provincia di Zhejiang non gli ha permesso di conseguire il diploma di avvocato dicendo che gli articoli da lui pubblicati su Internet violavano la Costituzione. Chen Shuqing ha denunciato i responsabili di questa decisione ma ha perso la causa. (Fonte: F.Rampini e Reporters Senza Frontiere)
Ecco le storie degli arrestati.
Zhang Jianhong, scrittore e poeta di 48 anni, è stato fermato ed imprigionato il 6 settembre a Ningbo per "incitazione alla sovversione del potere dello Stato". Una ventina di poliziotti, muniti di un mandato di perquisizione, hanno fatto irruzione nel suo domicilio e hanno sequestrato i dischi duri dei suoi due computer e un'agenda elettronica. Hanno inoltre interrogato la moglie, Dong Min, per avere informazioni sulle persone frequentate dal marito e sugli articoli che Zhang Jianhong pubblicava su alcuni siti Internet registrati all'estero. Zhang Jianhong, membro dell'organizzazione degli scrittori indipendenti PEN, scriveva con lo pseudonimo di Li Hong. Ha già passato un anno e mezzo in un campo di «rieducazione attraverso il lavoro» per «propaganda contro-rivoluzionaria ». Zhang Jianhong si era dimostrato solidale con il movimento pro-democratico del 1989. Ha fondato, nell'agosto 2005, il sito letterario Aiqinhai.org (http://www.aiqinhai.org/) e ne è stato il caporedattore fino alla sua chiusura disposta dalle autorità nel marzo 2006. Il difensore dei diritti civili Yang Maodong, più conosciuto con il nome di Guo Feixiong, è stato arrestato il 14 settembre 2006, nella sua casa a Canton. I poliziotti, muniti di un mandato, vi hanno effettuato una perquisizione e hanno sequestrato tre computer e degli appunti personali. Accusato di "commercio illegale", avrebbe fatto stampare, pubblicare e venduto 20 000 libri creando una falsa casa editrice. Sua moglie, Zhang Qing, ripete che suo marito è innocente e che le accuse sono totalmente infondate. Yang Maodong è attualmente detenuto per ordine dell'Ufficio della sicurezza pubblica di Canton. Sua moglie ha cercato, lo scorso 18 settembre, di andare a trovarlo ma non è stata autorizzata ad incontrarlo. Yang Maodong, scrittore di 40 anni, è conosciuto per aver difeso gli abitanti del villaggio di Taishi (Guangdong) che avevano manifestato, nel settembre 2005, per protestare contro la corruzione del governo locale. Il cyberdissidente aveva offerto loro assistenza e consigli giuridici per aiutarli nella preparazione della loro denuncia contro il capo del villaggio. Aveva inoltre descritto e analizzato l'accaduto pubblicando numerosi articoli su svariati siti Internet (es. sul Forum Yannan, chiuso il 1° ottobre 2005.) Maodong è stato arrestato una prima volta, il 6 ottobre 2005, per "aver turbato l'ordine pubblico". E' stato liberato, senza essere stato processato, tre mesi e mezzo dopo. Continuamente assillato dalla polizia, è stato aggredito e picchiato a tre riprese da quando è stato rilasciato, l'ultima volta nell'agosto 2006. Chen Shuqing, membro del Partito democratico cinese (proibito), è stato convocato dalla polizia di Hangzhou (Zhejiang). Si è presentato, il 14 settembre, a un commissariato locale ed è stato immediatamente trasferito in carcere. E' accusato di "incitazione alla sovversione del potere dello Stato". I poliziotti hanno perquisito la sua abitazione per sequestrare i dischi duri dei suoi computer e alcuni documenti personali. Laureato in biologia, Chen Shuqing è già stato imprigionato per quattro mesi nel 1999 per aver partecipato alla creazione del Partito democratico cinese. Dopo la sua liberazione, il cyberdissidente ha ripreso gli studi universitari per diventare avvocato. Nel 2005, Chen Shuqing ha sostenuto e superato gli esami di avvocatura, ma l'ufficio della Giustizia della provincia di Zhejiang non gli ha permesso di conseguire il diploma di avvocato dicendo che gli articoli da lui pubblicati su Internet violavano la Costituzione. Chen Shuqing ha denunciato i responsabili di questa decisione ma ha perso la causa. (Fonte: F.Rampini e Reporters Senza Frontiere)
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