Tuesday, November 15, 2005

A Luigi: Malvino mi fa l’onore di dedicarmi un post dove si interroga sulle responsabilità storiche e culturali che portano in Italia alla compressione e alla mortificazione dello spirito scientifico che, come conseguenza, ha l’annichilimento dei risultati della nostra ricerca. Ci sono altre colpe oltre quella della Chiesa di Roma in questa paura della scienza, si chiede Malvino? Sì; ci sono gli argini, le dighe poste da alcuni pensatori, filosofi, intellettuali organici o politici, o come li vogliamo chiamare, fa lo stesso, argini che hanno costruito loro e che non ci aiutano. Così mi pare risponda Malvino.

Mi pare però che la cosa sia un po’ diversa. Gramsci e Croce, in modi diversi, (non entriamo nel merito specifico delle loro analisi anche perché non è che i mezzi poi mi sostengano così tanto..) hanno avuto a rispondere a climi molto diversi dal nostro. La vicinanza temporale e diciamo ideologica con gli aspetti deteriori del positivismo imponeva loro di recuperare alla interpretazione, alla ermeneutica del dato sperimentale la necessità di uno spazio. Nell’eredità del positivismo l’approccio alla scienza spesso si trasformava in meccanicismo. (Ho fatto lo scientifico. Che domande. Non si vede?)

C’è da dire poi che i papi con cui facevano i conti loro non avevano ancora deciso (per forza di cose) di mettere piede nel mondo dei media e della comunicazione moderna, che ovviamente non esisteva. Era una Chiesa di Roma, quella di Leone XIII, che, sebbene cercasse di esprimere un temporalismo di marca diversa da quello ottocentesco, con il ricorso alla diplomazia internazionale, all’essere stato tra gli stati, ad avere un approccio globale e non solo italiano, era in ogni caso una Chiesa romana che non aveva le inquietudini attuali. Aveva ancora la convinzione di essere maggioritaria in larga parte d’Europa e certamente in Italia. O almeno a me così sembra.

Il problema per i crociani e per i gramsciani e per tutti gli “–ani” di tutte le razze ( il suono e l’evocazione di “altro” ha anche un significato giusto a volte), è sempre quello di prendere le parole del maestro e ripeterle a mo’ di ecolalia, mentre come diceva Paolo Conte, il maestro è nell’anima, e da lì ti detta, con parole nuove, tue.

E sarà da vedere pure cosa farà il vero Ratzinger, rispetto ai ratzingeri-ani, che pure qualche sorpresa, il vecchio erudito, quando si sentirà veramente al sicuro, potrà riservarci.

Insomma voglio dire due cose: da una parte il problema è globale. Il Vaticano oggi, di fronte al dramma dell’integralismo che si vede in giro per il mondo, intende rispondere con la moneta dell’identità, che alla fine non fa altro che portare dalle parti degli –ismi e –ani che ripetono le cose a pappagallo, e producono tragedie invece di rispondere alle tragedie. Dall’altra i limiti alla centralità dell’approccio scientifico vengono sempre dalle nostre mentalità. Io per me non credo ad una ricerca intesa come sistema esauriente. Credo che la scienza sia uno dei mezzi con cui cerchiamo di darci delle risposte, ma ci sono campi in cui la scienza non arriva, ma questo è un problema momentaneo. Quindi: di colpa non parlerei. Semmai il Vaticano da una parte oggi si muove in modo veramente diverso rispetto al passato, e questo è innegabile. Ma la responsabilità è nostra. Siamo noi nella necessità di non essere “-ani”, ma di rispondere alle cose, in modo sereno e deciso.

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